Morale della favola: La pena inflitta dai potenti è sempre la stessa, sia se parli, o se taci.
Fedro racconta che quando il leone si proclamò re della foresta, egli aspirava di essere conosciuto da tutti gli animali come un sovrano giusto ed imparziale.
Il leone s'impegnò a dispensare la giustizia con estrema onestà. Lasciò da parte tutte le sue vecchie abitudini e cominciò una dieta vegetariana. Tuttavia, con il passare del tempo la determinazione del felino cominciò a vacillare. Prepotente riaffiorò la sua indole naturale di cacciatore dimenticandosi di tutti i suoi buoni propositi. Cominciò ad invitare in privato gli animali e, uno per volta, con il pretesto di chiedere loro se il suo alito fosse cattivo o profumato, alla loro risposta, sia che lamentassero la puzza, oppure no, il leone se li mangiava.
Dopo aver soddisfatto il proprio appetito per un lungo periodo di tempo, mangiando un bel po' di animali, il leone invitò la scimmia e le chiese di cosa sapeva il suo alito. La furbetta annusò le fauci aperte del suo re e disse che odoravano di cannella: "È lo stesso aroma che arriva dagli altari degli dei", sostenne il primate. A quelle parole di lusinga il leone non se la sentì di fare del male alla bestiola che aveva parlato così bene di lui, allora cambiò tattica e cercò di ingannare la scimmia con un nuovo stratagemma.
Il leone si mise a letto fingendosi ammalato. Subito arrivarono i medici e dopo aver constatato che la pressione delle vene fosse normale, gli prescrissero di mangiare qualsiasi cosa poteva alleviare il suo senso di nausea. "Il Re deve mangiare tutto ciò che gli piace", dissero i medici. Il leone ammise di non avere mai assaggiato la carne di scimmia: "Vorrei tanto assaggiare la scimmia". Detto fatto. La scimmia fu portata dal leone affinché potesse cibarsene.
Il leone s'impegnò a dispensare la giustizia con estrema onestà. Lasciò da parte tutte le sue vecchie abitudini e cominciò una dieta vegetariana. Tuttavia, con il passare del tempo la determinazione del felino cominciò a vacillare. Prepotente riaffiorò la sua indole naturale di cacciatore dimenticandosi di tutti i suoi buoni propositi. Cominciò ad invitare in privato gli animali e, uno per volta, con il pretesto di chiedere loro se il suo alito fosse cattivo o profumato, alla loro risposta, sia che lamentassero la puzza, oppure no, il leone se li mangiava.
Dopo aver soddisfatto il proprio appetito per un lungo periodo di tempo, mangiando un bel po' di animali, il leone invitò la scimmia e le chiese di cosa sapeva il suo alito. La furbetta annusò le fauci aperte del suo re e disse che odoravano di cannella: "È lo stesso aroma che arriva dagli altari degli dei", sostenne il primate. A quelle parole di lusinga il leone non se la sentì di fare del male alla bestiola che aveva parlato così bene di lui, allora cambiò tattica e cercò di ingannare la scimmia con un nuovo stratagemma.
Il leone si mise a letto fingendosi ammalato. Subito arrivarono i medici e dopo aver constatato che la pressione delle vene fosse normale, gli prescrissero di mangiare qualsiasi cosa poteva alleviare il suo senso di nausea. "Il Re deve mangiare tutto ciò che gli piace", dissero i medici. Il leone ammise di non avere mai assaggiato la carne di scimmia: "Vorrei tanto assaggiare la scimmia". Detto fatto. La scimmia fu portata dal leone affinché potesse cibarsene.